domenica 26 ottobre 2008

VITA E MORTE PER CHI HA VOGLIA DI LEGGERE


La morte non è affatto una semplice presenza non ancora attuatasi, non è un mancare ultimo ridotto ad minimum, ma è, prima di tutto, un'imminenza che incombe. Ma all'esserci, come essere-nel-mondo, incombono molte cose. Il carattere d'imminenza incombente non è esclusivo della morte. Al contrario: anche questa interpretazione potrebbe far credere che la morte sia da intendere come un evento che s'incontra nel mondo, minaccioso nella sua imminenza. Un temporale può incombere come imminente; la ristrutturazione d'una casa, l'arrivo d'un amico, possono essere imminenti; tutti enti, questi, che sono semplici-presenze o utilizzabili o con-esserci. L'incombere della morte non ha un essere di questo genere. [...] La morte è una possibilità di essere che l'esserci stesso deve sempre assumersi da sé. Nella morte l'esserci incombe a se stesso nel suo poter-essere più proprio. In questa possibilità ne va per l'esserci puramente e semplicemente del suo essere-nel-mondo. La morte è per l'esserci la possibilità di non-poter-più-esserci. Poiché in questa sua possibilità l'esserci incombe a se stesso, esso viene completamente rimandato al suo poter-essere più proprio. In questo incombere dell'esserci a se stesso, dileguano tutti i rapporti con gli altri Esserci. Questa possibilità assolutamente propria e incondizionata è, nel contempo, l'estrema. Nella sua qualità di poter-essere, l'esserci non può superare la possibilità della morte. La morte è la possibilità della pura e semplice impossibilità dell'esserci. Così la morte si rivela come la possibilità più propria, incondizionata e insuperabile. Come tale è un'imminenza incombente eccelsa. [...] Questa possibilità più propria, incondizionata e insuperabile, l'esserci non se la crea però accessoriamente e occasionalmente nel corso del suo essere. Se l'esserci esiste, è anche già gettato in questa possibilità. [...]. L'esser-gettato nella morte gli si rivela nel modo più originario e penetrante nella situazione emotiva dell'angoscia. L'angoscia davanti alla morte è angoscia davanti al poter-essere più proprio, incondizionato e insuperabile. [...] L'angoscia non dev'essere confusa con la paura davanti al decesso. Essa non è affatto una tonalità emotiva di 'depressione', contingente, casuale, del singolo; in quanto situazione emotiva fondamentale dell'Esserci, essa costituisce l'apertura dell'Esserci al suo esistere come esser-gettato per la propria fine. Si fa così chiaro il concetto esistenziale dei morire come esser-gettato nel poter-essere più proprio, incondizionato e insuperabile, e si approfondisce la differenza rispetto al semplice scomparire, al puro cessare di vivere e all'esperienza vissuta dei decesso. [...] Un'interpretazione pubblica dell'esserci dice: "Si muore"; perchè in tal modo ognuno degli altri e noi stessi nella forma del Si anonimo possiamo raccontarci: ogni volta non io. Infatti questo Si è il nessuno. [...] Il morire, che è mio in modo assolutamente insostituibile, è confuso con un fatto di comune accadimento che capita al Si. Questo tipico discorso parla della morte come di un "caso" che ha luogo continuamente. Esso fa passare la morte come qualcosa che è sempre già "reale", coprendone il carattere di possibilità e quindi i momenti costitutivi di incondizionatezza e di insuperabilità. Con quest'equivoco l'Esserci si pone nella condizione di perdersi nel Si rispetto al poter-essere eminente che appartiene al suo se-Stesso più proprio. Il Si fonda e intensifica la tentazione di coprire a se stesso l'essere-per-la-morte più proprio. Questo eluderere la morte coprendola domina a tal punto la quotidianità che, nell'essere-assieme, "i parenti più prossimi" vanno sovente ripetendo al "morente" che egli sfuggirà certamente alla morte e potrà far ritorno alla tranquilla quotidianità del mondo di cui si prendeva cura. Questo "aver cura" crede addirittura di "consolare il morente". Vuole riportarlo nell'Esserci, aiutandolo a nascondersi interamente la possibilità di essere più propria, incondizionata e insuperabile. Il Si procura in questa maniera una costante tranquillizzazione nei confronti della morte. In fondo essa non vale solo per il "morente" ma altrettanto per i consolanti. [...] Il Si non lascia sorgere il coraggio dell'angoscia davanti alla morte. [...] Nell'angoscia in cospetto della morte, l'Esserci è condotto davanti a se stesso in quanto rimesso alla sua possibilità insuperabile. Il Si si prende cura di trasformare quest'angoscia in paura di fronte a un evento che sopravverrà. L'angoscia, banalizzata equivocamente in paura, è presentata inoltre come una debolezza che un Esserci sicuro di sé non deve conoscere. [...] Un essere-per-la-morte è l'anticipazione di un poter-essere di quell'ente il cui modo dì essere è l'anticiparsi stesso. Nella scoperta anticipante di questo poter-essere, l'esserci si apre a se stesso nei confronti della sua possibilità estrema. Ma progettarsi sul poter essere più proprio significa poter comprendere se stesso entro l'essere dell'ente così svelato: l'anticipazione dischiude all'esistenza, come sua estrema possibilità, la rinuncia a se stessa, dissolvendo in tal modo ogni solidificazione su posizioni esistenziali raggiunte.

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