venerdì 27 marzo 2009


Arriviamo sfiorando il silenzio.
Spettri che emergono dalle brume,
oberati dal freddo del mattino,
e dai pensieri del giorno che arriva.

Ci disponiamo lungo il binario,
ma impazienti, torciamo il collo,
e tendiamo l'orecchio al suono del treno.
I più esperti spiano il vibrare dei fili.

Incrociandoci, ci scambiano un saluto,
un cenno, spesso senza parole,
per non turbare il mattino.
Pochi hanno vinto la tristezza del risveglio.

Arriva il treno coi suoi occhi di fuoco,
chi trova posto potrà anche dormire,
chi resta in piedi sognerà ad occhi aperti:
si sta troppo vicini per parlare.

Tra loro ci sono io, spettro tra gli spettri,
col latrato dei freni negli orecchi,
mi accalco, scovandomi un posto tra i corpi.
Per me inizia un'altra attesa: quella di Lei.

I vetri si appannano e il treno ci culla,
basse frequenze risuonano in pancia,
e poi altri visi si affollano, che sembrano uguali.
Io roteo o sguardo in cerca di Lei che non c'è.

Si arriva alla meta, la morsa dei corpi si allenta,
qualcuno sospira, e si affretta: si scende.
La transumanza è finita, il gregge si scioglie,
cerco nervoso i capelli di lei: non li vedo.

È lei che io cerco e debbo trovare.
È arrivata da me come un turbine
di profumati capelli, ed offerto un sorriso.
Da allora risplende per me come Orione la sera.

Lei senza nome nè storia, solo immagine,
una icona di donna, una danza maestosa,
uno sguardo fugace, una ipotesi.
Lei mi ha legato un filo invisibile al cuore.

Un filo che seguo, per trovarla a ogni ora.
Con terrore mi accorgo che l'amo già troppo.

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