l'amore
Credetemi si è felici solo per amore...» Pierre Choderlos de Laclos
«Ora non ti amo più e mi odio per averti amato...» Prosper Merimée
La nostra grande dea dell'amore non e' stata mai esclusivamente nostra. Essa e' la stessa divinità che anche i nostri vicini orientali veneravano, sotto nomi barbarici come Ashtoret o Ishtar e che noi più tardi abbiamo reso con il nome di Astarte.
In Oriente essa era una dea estremamente assetata d'amore, ma che sapeva anche donare un' illimitata voluttà amorosa; nel cielo apparteneva a lei la stella vespertina e mattutina, il pianeta Venere; tra gli animali la colomba.
Le storie che si raccontavano di lei non erano uguali alle nostre, eppure ricordano i nostri racconti sulla grande dea dell'amore. Si ascolti per esempio questa:
Alcuni pesci avevano trovato nel fiume Eufrate un uovo meravigliosamente grande. Lo spinsero sulla riva: una colomba lo covò e cosi' nacque la dea di cui si affermava che fosse la più benigna e la più misericordiosa verso gli uomini. Nella storia dei suo giovane amante, Tammuz o, come da noi si chiamava con l'invocazione semitica Adoni, "mio Signore". nella primitiva storia di Adone , era forse lei la causa della morte di questi,ma soltanto per eccessivo amore.
Da noi la corrispondente storia si riferiva alla nostra dea dell'amore, Afrodite, il cui nome ricorda pur sempre un po' il nome di "Ashtoret' In quella storia Afrodite resta fuori dalla cerchia degli dei olimpici, anche dopo che vi e' stata accolta. Ma essa rimaneva al di fuori dell'Olimpo anche a causa della sua più ampia sfera di potenza, circa come Ecate, alla quale risulta anche strettamente affine, quando accetta sacrifici di cani sulla costa tracia come Afrodite Zerintia o su quella attica come Genetillide.
Per gli Ateniesi essa era la più antica Moira. Altrove era considerata anche figlia di Crono, insieme con le Moire e con le Erinni.
Il racconto della sua immediata discendenza da Urano, alla quale si e' già accennato, ha posto sempre la nostra grande dea dell' amore in relazione col mare. Per noi, essa era la Anadiomene, la dea che emerge dalle onde salate, e portava anche l'epiteto di Pelagia, la marina.
Altri due suoi epiteti diedero motivo, a certe persone ateniesi che prediligevano l'amore tra fanciulli e la cui opinione ci viene riferita da Platone, di distinguere una Afrodite Pandemia, dea dell' amore terreno, da una Afrodite Urania, dea dell' amore celeste.
In realtà la parola Pandemia indica la presenza della dea presso tutte le classi e tutte le comunità di un popolo che essa tiene unite e in armonia. Il nome Urania documenta invece la sua origine di dea orientale del cielo, dalla quale, come a Corinto e a Erice, i fedeli si recavano in pellegrinaggio, in un santuario elevato, posto sulla cima di un monte, dove venivano accolti da benevole officianti del tempio. A questi due epiteti si trova aggiunto ancora un terzo coi quale si formava una triade: cosi' nel culto antichissimo di Tebe, dove la dea, nella sua terza forma, si chiamava Apostrophia, colei che si volta da parte.
Ma Afrodite non era da noi l'unico nome della grande dea dell' amore. Con parola greca essa si chiamava anche Dione. E' la forma femminile del nome Zeus, paragonabile nella sua formazione al nome latino Diana, e significa una dea del cielo luminoso. Dione era nota anche come dea dell'acqua. A Dodona era venerata insieme a Zeus, dio della sorgente, come sposa del dio supremo e dea della sorgente dalla quale si ottenevano gli oracoli. Esiodo l'annoverava tra le Oceanine, mentre secondo gli Orfici essa era una figlia di Urano. La fondazione dell'oracolo di Dodona veniva attribuita a una colomba. Coloro che, come Omero, volevano completamente subordinare la grande dea Afrodite a Zeus, raccontavano che essa era figlia dell'Olimpio e di Dione. Accanto a questa versione che fa di Afrodite una figlia di Zeus e di Dione, continuò ad esistere anche quella che la faceva discendere imme-diatamente da Urano, e con la quale ha inizio.la serie dei racconti intorno alla nostra grande dea dell'amore.
Il racconto della nascita di Afrodite ci e' stato tramandato da Esiodo.
Esso costituisce la continuazione della storia di Urano, Gea e Crono. Segue
poi il primo viaggio della dea all' isola di Cipro, dove si trovavano i suoi santuari più potenti e più antichi, nelle città di Pafo e di Amatunte. Questo racconto trovava la sua continuazione in, un inno attribuito a Omero. Ma prima riferisco il racconto originario.
Il membro reciso del padre di Urano cadde nel mare mobile. Crono l'aveva gettato colà dalla terraferma. Per lungo tempo le onde lo spinsero qua e là. Dalla pelle immortale si formò intorno una bianca schiuma, aphros. Da questa schiuma sorse e crebbe una bella fanciulla. Nuotò dapprima verso l' isola ' di Citera, dopo però andò a Cipro. Colà la bella e pudica dea usci' dall'acqua e sotto i suoi piedi delicati spuntò una tenera erbetta. Gli dei e gli uomini la chiamarono Afrodite, perché nata dalla schiuma.
La chiamarono. anche Citerea, perché si era recata dapprima a Citera. Eros e Imeros questo era un alter ego del dio dell'amore , chiamato "desiderio" - l'accompagnarono subito appena nacque e si uni' agli dei. Sin da principio essa ebbe tra gli dei e gli uomini come funzione ed ufficio il bisbiglio delle fanciulle, il riso e la malizia, la dolce voluttà, l'amore e la mitezza.
L'inno continua il racconto dicendo che Afrodite venne accolta in Cipro dalle Ore che la vestirono. Le Ore sono le figlie di Temi, dea dell'ordine dei sessi, insito nella natura. La vista della completa nudità della dea - secondo l'idea dei nostri antenati dei tempi più antichi, eccettuati i Dori - avrebbe urtato Temi. Soltanto dopo essere stata vestita, incoronata e adornata Afrodite poté venir introdotta tra gli dei. Non appena questi la videro la baciarono, le strinsero la mano e la desiderarono in moglie con matrimonio duraturo.
Terminero' con il racconto secondo cui, Afrodite sarebbe nata da una conchiglia e con la conchiglia sarebbe approdata all'isola di Citera. Nella città di Cnido, sulla costa dell'Asia Minore, dove Greci puri e non orientali osarono per la prima volta esporre alla vista una Afrodite nuda - la celebre statua dello scultore Prassitele - la conchiglia era considerata come animale sacro alla grande dea dell'amore.
La storia dell'amore, che sarebbe toccata ad Afrodite già nel mare prima della sua introduzione tra. gli dei dell'Olimpo, e' legata ad una conchiglia. Il tardo narratore, che ce la riferisce chiama Afrodite figlia di Zeus, ma anch'egli trasferisce nel mare il periodo preolimpico della storia della dea.
Secondo questo racconto, nella più pura acqua, sulla roccia, sotto la superficie del mare, si trovava una conchiglia piccola, ma meravigliosamente bella, che si chiamava Nerite ed era l'unico Aglio di Nereo.
A Esiodo sono note soltanto le cinquanta figlie. Anche Omero menziona soltanto queste. Del figlio parlava la gente del mare. Egli era il più bello tra gli dei e gli.uomini. Finché Afrodite dimorò nel mare, trovò la sua gioia in lui e visse con lui come con un amante. Ma quando arrivò il momento in cui, per volere dei fato, la dea doveva essere accolta tra gli Olimpici e suo padre la chiamò, essa avrebbe voluto portare con sé il suo amico e compa-gno di gioco per salire insieme sull'Olimpo. Questi però preferi' la vita nel mare, con le sue sorelle e i suoi genitori. Afrodite gli voleva donare le ali, ma egli non apprezzò neanche queste. Allora la dea lo trasformò in una conchiglia e scelse per compagno e servitore il giovane dio dell' amore, Eros. A questi diede le ali.
Un altro racconto considera Nerite come amante di Poseidone e alter ego di Fetonte. Quando viaggiava con il suo carro sopra le onde, il bel fanciullo era simile a Elio. Ma questo racconto proviene da un'età ancora più tarda di quella a cui risale la storia riferita poc'anzi.
Esistevano dei racconti secondo i quali Afrodite avrebbe scelto per sposo
Ares, dio della guerra.
Secondo altri racconti invece essa era moglie di Efesto. Infine vi e' un'altra storia, resa celebre da Omero, secondo cui Afrodite avrebbe tradito suo marito, Efesto, con Ares. Dall'unione di Afrodite con il dio della guerra, nacque, secondo i racconti dei Tebani la bella Armonia, la "unificatrice", quasi una seconda Afrodite. Suo marito era Cadmo, l'uccisore dei dragone e il fondatore di Tebe il cui nome ricorrerà nella storia d' Europa. Oltre ad Armonia erano considerati figli di Ares e di Afrodite, da una parte Fobo e Deimos, paura e Spavento, d'altra parte Eros e Anteros, Amore ed Amore ricambiato. Ciò però non e' quasi più mitologia, ma mera genealogia. Secondo un'altra genealogia, Eros era padre di Efesto.
Si dovrà parlare ancora molto di Efesto, ma sia detto sin d'ora che, secondo la maggior parte dei racconti, egli era un artigiano abile e robusto, ma nello stesso tempo anche un nano ingegnoso e storpio.
Egli fabbricava con l'oro vergini che si movevano, pensavano e lavoravano come persone vive. Ed egli creò la prima donna, Pandora. Questa non ebbe Efesto per marito, ma esseri che gli erano tuttavia molto affini. Tanto per Omero, nell' Iliade, quanto per Esiodo, sposa di Efesto era una Carite: per quest'ultimo, la Charis più giovane, Aglaia, l'ornamento. Si voleva intendere negli antichi racconti, noti ancora a quei poeti, un' opera d'arte vivente - poiché charis significa anche il fascino dell'arte, oppure si intendeva dare come sposa al dio fabbro una Afrodite minore, in luogo di quella grande? Ad ogni modo, la dea dell'amore poteva essere chiamata anche Carite. Nell'Odissea si chiama Afrodite la compagna di Efesto ed Ares e' il suo amante.
Un cantore, del popolo dei Feaci, che erano ancora più di noi vicini agli dei, cantò come Afrodite e il dio della guerra si unirono in amore per la prima volta.
Ciò accadde nel palazzo dei marito. Nessuno ne, sapeva niente ed Ares aveva fatto di tutto per poter, violare il matrimonio e il letto di Efesto. li Sole vide la coppia durante l'amplesso e si affrettò a darne notizia al celebre fabbro. L'annuncio lo colpi' dolorosamente. Egli si recò in fretta nella sua fucina e meditò vendetta. Mise la grande incudine sul piedistallo e preparò delle catene che non si potevano né sciogliere, né spezzare, ma che erano anche invisibili e sottili come ragnatele. Le applicò ai sostegni del letto e finse di recarsi a Lemno, sua isola preferita e città costruita bene. Ares non rimase inutilmente ad attendere.
Raggiunse subito il palazzo del maestro desiderando ardentemente Afrodite. Questa era appena ritornata dalla casa di suo padre, Zeus, e si tratteneva nella stanza. Egli entrò, le prese la mano e disse: Vieni, amata, corichiamoci e godiamo il nostro amore! Efesto e' lontano, e' andato a Lemno, dal suo popolo di lingua straniera, i Sinti. Anche lei desiderava coricarsi. Salirono sul letto e si addormentarono. Le catene di Efesto eseguite ad arte li avvolsero in modo tale che essi non poterono più muovere neppure un'estremità, nonché alzarsi. Allora si accorsero che non vi era più via d'uscita.
Il robusto artiere si avvicinò, poiché il Sole aveva spiato come sempre e tradito gli amanti. Il marito restò fermo sulla porta, preso da ira selvaggia, e con voce terribile chiamò tutti gli dei:
Padre Zeus e voi tutti, dei felici ed eterni! Venite a guardare ciò che accade qui di ridicolo e obbrobrioso. Osservate come mi disonora la figlia di Zeus, Afrodite, poiché io sono uno storpio. Essa ama il fatale Ares, perché e' bello ed ha i piedi regolari mentre io zoppico. Ma nessuno ne ha colpa, se non i miei genitori: non dovevano mettermi al mondo! Guardate come dormono li, nell'amplesso amoroso, nel mio letto! Questo spettacolo mi addolora. Resteranno li, io credo, sdraiati per un pezzo dato che si amano tanto, ma ci resteranno loro malgrado: sono le mie catene che li terranno fermi, finché il' padre non si deciderà a ripagarmi di ciò che ho speso per i regali fatti alla sua figlia svergognata; poiché essa e' bella, ma non virtuosa.
Cosi' parlò. Gli dei si radunarono nel suo palazzo, nell'edificio che aveva soglie di bronzo. Vennero Poseidone, Ermes, Apollo. Le dee pudicamente restarono in casa. Gli dei rimasero sulla soglia. Quando i beati osservarono il capolavoro dell'astuto Efesto, risuonò il loro riso irrefrenabile. L'uno diceva all'altro: L'azione ingiusta non porta buoni frutti. il lento cattura il veloce. Chi e' stato colto in fallo deve scontare l'adulterio. Apollo chiese a Ermes: ti piacerebbe giacere in simili catene con l'aurea Afrodite? E questi di rimando: Ah, se ciò potesse accadere, sopporterei pure catene tre volte più forti! Potreste guardarmi tutti, voi, dei e dee, perché io giacerei felice con l'aurea Afrodite! Risero di nuovo gli immortali, soltanto Poseidone non rise. Egli pregò il maestro di sciogliere Ares e si costitui' garante davanti a tutti gli dei dell'ammenda che doveva essere pagata al marito. Efesto acconsenti' non senza difficoltà e sciolse i due amanti. Essi balzarono in piedi: Ares si precipitò al paese dei Traci, Afrodite a Cipro, nel suo tempio di Pafo. Le Cariti l'accolsero con un bagno. Unsero la dea con olio immortale, il cui profumo e' proprio degli dei, e la avvolsero di nuovo nella sua veste bellissima, deliziosa.
Pigmalione era reputato dai Ciprioti re ed amante di Afrodite.
Qualunque fosse il nome che gli davano gli adoratori non greci della dea, cioe' i Fenici di Cipro, e qualunque il significato di quel nome, noi lo conoscevamo anche nella forma di Pygmaion, che per noi non poteva avere altro significato che quello di pygmaios, nano. Tanto più che, secondo i nostri antichi racconti, anche altre isole del Mediterraneo orientale erano abitate nei tempi primordiali da esseri che si potevano definire tanto nani quanto grandi dei. Tali erano i Cabiri di Samotracia e gli ingegnosi artefici Telchini di Rodi, e cosi' era, a Lemno, anche Efesto.
Si raccontava che il re Pigmalione si fosse innamorato della statua eburnea nuda di Afrodite; infatti, una tale immagine cultuale non era rara presso la gente non-greca dei tempi antichi. Egli voleva sposare la statua e la posò sul suo letto.
Tanto non basterebbe naturalmente per trarne una storia. Ma si raccontava pure che Pigmalione stesso avesse fatto la bella statua femminile d'avorio, di cui poi si era innamorato. Nel suo disperato amore, egli rivolse le sue preghiere ad Afrodite, che ebbe pietà di lui. La statua diventò viva e Pigmalione la prese in moglie.
Essa gli partori' Pafo, il cui figlio Cinira fondò poi la città di Pafo con il santuario di Afrodite.
Secondo questo racconto il culto della grande dea dell'amore avrebbe avuto inizio a Cipro soltanto con Pigmalione e con la sua opera, l'ídolo nudo. Si diceva che Pigmalione fosse stato per i Ciprioti, ciò che era stato Adone, il signore e l'amante di Afrodite.
La storia del giovane signore e amante della grande dea dell'amore era da noi, e lo era già stato sicuramente in quelle regioni orientali dalle quali noi l'avevamo presa, cioe' in Siria, a Cipro, in Asia minore - messa in relazione con la storia di un albero. Questa storia si riferiva a quella pianta araba chiamata myrrha o smyrna, la cui resina fortemente profumata era per i popoli dell'antichità il più prezioso tra tutti i succhi d'albero. Anche la resina si chiamava myrrha o smyrna.
Il racconto diceva: Mirra o Smirna era la figlia di un certo Tia, re del Libano, o del re Cinira di Cipro, fondatore di Pafo, per non menzionare altri nomi. Mirra si era innamorata perdutamente di suo padre. Si adducono vari motivi per giustiflcare questo fatto, come l'ira del dio Sole o l'ira di Afrodite, perché Mirra si sarebbe vantata di avere capelli più belli di quelli della dea. La figlia riusci' a ingannare o a inebriare il padre, ciò che accade anche in un racconto biblico. Essa giacque con lui come una fanciulla sconosciuta, per dodici notti di seguito o forse meno. Alla fine il padre scoperse, alla luce di un lume nascosto, chi era la sua compagna di letto e prese a inseguirla con la spada brandita. Mirra portava già in seno un bambino concepito in quell'amore proibito ed era piena di vergogna. Pregò gli dei di non essere in nessun luogo, né tra i vivi, né tra i morti. Forse Zeus, o forse Afrodite, una divinità ebbe misericordia di lei. La trasformò nell' albero che piange con le lacrime più aromatiche il proprio frutto, il frutto del legno: Adonis. Infatti, questi, futuro amante di Afrodite, nacque dalla corteccia apertasi déll' albero della mirra.
Adone era bello, cosi' bello che Afrodite nascose il bambino appena nato in una cassa e lo consegnò a Persefone perché lo custodisse. La regina degli Inferi apri' la cassa, vide il bel bambino e non volle più restituirlo. La contesa tra le dee fu portata davanti a Zeus. Il re degli dei decise che Adone potesse passare una parte dell'anno per conto suo, un'altra parte poteva restare con Persefone e una terza con Afrodite. La morte che portò Adone da Persefone, negli Inferi, veniva descritta per lo più come se questi, in qualità di cacciatore, fosse stato ferito a morte da un cinghiale. Il suo sangue si spandeva, ne sorgevano anemoni rossi e il fiume Adonis del Libano ebbe le acque rosseggianti. Il cinghiale doveva esser stato mandato contro il giovane da Artemide o da Ares. Afrodite però doveva piangere Adone, invece di possederlo per sempre. Le feste che celebravano il suo doloroso amore rievocavano il giorno del congiungimento e quello della separazione della dea dell'amore dal suo giovane signore. Il delicato giovane stava disteso e veniva amato e pianto da Afrodite. Inutilmente la dea tentava di trattenerlo. Il giorno successivo egli si dileguava oltre il mare e nell'aria. Le donne gli offrivano piccoli giardini che facevano crescere rapidamente in cocci di terracotta e in pentole, perché appassissero pure presto. Esse offrivano se stesse agli stranieri nei santuari orientali. Quelle che non lo facevano, sacrificavano i loro capelli ad Adone.
Le storie della grande dea dell'amore fin qui narrate si svolgevano al margine sud-orientale del Mediterraneo, a Cipro e in Siria. Scena del racconto seguente la regione di Troia, nell'Asia Minore.
In questo troviamo Afrodite accompagnata da animali selvaggi. Il racconto veniva cantato in un inno che si attribuiva ad Omero.
Afrodite non aveva alcun potere su tre dee: su Atena, Artemide ed Estia. Essa trionfava ' su tutti gli altri dei e le altre dee, costringeva perfino Zeus ad amare donne mortali e a dimenticare la, propria sposa-sorella divina, Era, figlia di Crono e di Rea. Perciò Afrodite dovette, per volere di Zeus, innamorarsi di un mortale, del pastore Anchise. Questi pascolava i suoi buoi sulle alture dei monte Ida ed era bello come gli immortali. Afrodite lo vide e se ne innamorò appassionatamente. Si recò in fretta a Cipro, nel suo tempio di Pafo. Chiuse dietro a sé le porte del tempio; le Cariti le prepararono un bagno e unsero, la grande dea con l'olio immortale il cui profumo avvolge gli dei eterni. In una bellissima veste ornata d'oro la dea ritornò subito a Troia, al monte Ida, dalla madre degli animali selvaggi.
Prese la via attraverso la montagna verso le stalle. La seguirono, dimenando le code, lupi grigi, leoni dallo sguardo torvo, orsi e agili leopardi, animali che non si saziano mai abbastanza di gazzelle. La dea si rallegrò alla vista degli animali e infuse nel loro cuore l'amore, di modo che essi si sdraiarono a coppie all'ombra dei boschi. Afrodite entrò nella tenda dei pastori e trovò Anchise solo. Egli passeggiava su e giù, sonando la cetra. Afrodite si presentò a lui come una bella e delicata fanciulla mortale. Anchise la vide e si stupi' della sua bellezza, della sua statura e delle sue splendide vesti. Essa aveva una veste, il cui color rosso abbagliava più della fiamma viva; i suoi seni splendevano in modo meraviglioso, come se fossero circonfusi di luce lunare. Anchise divampò d'amore e parlò alla dea. La salutò come una immortale, le promise altari e sacrifici e la pregò di proteggere lui stesso e i suoi discendenti. Allora la dea gli menti', affermando di essere una fanciulla mortale, figlia di un re frigio, e che però parlava anche la lingua dei Troiani. Raccontò che dal coro di Artemide, in cui essa danzava insieme alle sue compagne di gioco e con le Ninfe, Ermes l'aveva rapita per portarla colà dalla Frigia, attraverso l'aria; essa ,a quanto aveva detto il divino messaggero, era destinata a diventar sposa di Anchise. Pregò però il pastore di non toccarla ancora, ma di presentarla prima ai genitori e ai fratelli, di cui essa doveva diventare nuora e cognata, di mandare anche un messo ai genitori di lei per la dote e di voler soltanto poi celebrare le nozze.
.Con queste parole la dea alimentò ancor di più l'amore di Anchise. Se tu sei una fanciulla mortale e destinata a diventare mia sposa, nessun dio o uomo può più trattenermi da te. Anche se Apollo dovesse in seguito colpirmi a morte, ora io voglio amarti subito a costo di morire dopo! Essa lo segui' fino al letto, sempre voltandosi indietro, come se volesse ritornare sui suoi passi e con i begli occhi abbassati. Su morbide coperte erano stese pelli di orsi e di leoni abbattuti da Anchise stesso. Egli le tolse gli ornamenti risplendenti, le sciolse la cintura e la spogliò. Secondo il volere degli dei l'uomo mortale giacque dunque con la dea immortale, senza saperlo. Soltanto nell'ora in cui i pastori dovevano tornare, Afrodite svegliò il suo amante addormentato e gli si mostrò nella sua vera figura e in tutta la sua bellezza. Anchise restò atterrito quando vide i suoi begli occhi; voltò la testa, si copri' il viso e implorò da lei salvezza, poiché nessun uomo mortale poteva essere sano e salvo per il resto della sua vita, dopo aver dormito con una dea.
Si racconta ancora,. che, Afrodite fece ad Anchise i migliori váticini per il figlio che essa aveva da lui concepito e per tutti i discendenti. li figlio era Enea che doveva diventare celebre , come fondatore della nazione dei Latini. La dea si rammaricò con se stessa di essersi data a un mortale. Anchise non doveva rivelare a nessuno di aver avuto il figlio da lei, quando le Ninfe glielo avrebbero portato come se fosse stato il figlio d'i una di loro. Altrimenti lo avrebbe colpito il fulmine di Zeus. A questo proposito si racconta che più tardi nell'ebbrezza Anchise se ne sarebbe vantato e sarebbe stato colpito da un fulmine di Zeús, divenendo quindi storpio. Un altro racconto sostiene invece che egli divenne cieco per aver visto la nudità della dea. Le api gli 'avrebbero punto gli occhi.
Troppi racconti della nostra mitologia che trattavano proprio delle divinità più note, sono andati perduti. li significato dei racconti era nella figura della divinità stessa; nessun singolo racconto poteva contenere la figura completa, in tutti i suoi aspetti. Gli dei vivevano nell'anima dei nostri antenati e non si trasfondevano in alcun racconto interamente.
In ogni storia però restava, e resta tuttora vivo, qualcosa di loro che apparteneva all'insieme della loro figura. Dal canto loro. i racconti non si possono riassumere mai interamente in un'unica parola, nel nome o in un appellativo della divinità. Tuttavia, fino a un certo punto, essi sono compresi in questi come, per esempio, il racconto sulla nascita di Afrodite e' implicito nell'epiteto Anadiomene. Cosi' anche gli epiteti che ci son rimasti ci aiutano a conoscere la' nostra mitologia. Nel caso di Afrodite bisogna per forza enumerarne ancora alcuni, per rendere evidenti tutti gli aspetti della nostra grande dea dell'amore.
La parola apbrodite nella nostra lingua ha assunto il significato di voluttà amorosa.
A questo dono della dea si riferisce, nei poeti antichi, l'epiteto chryse, l'aurea. Ma non bisogna prendere questa parola alla lettera, perché essa esprime tutta l'atmosfera di Urania, dea orientale del Cielo, che a Cipro portava anche l'epiteto di Eleemon, la misericordia.
E' già una riduzione di quest'atmosfera, quando le etere veneravano la dea come una di loro, sotto i nomi di Afrodite Hetaira o Porne. In quest' atmosfera ridotta sorgevano opere d'arte che mostravano la bellezza della dea come Kalliglutos o Kallipygos ,colei che ha belle natiche, con la veste sollevata, dopo che i nostri artisti poco a poco avevano ottenuto che la nudità della dea al bagno non incutesse più un sacro orrore agli spettatori. A Sparta, dove le donne godevano molte libertà nell'amóre, Afrodite portava lo stesso titolo "Signora", che era generalmente il nome di una sposa di Zeus: veniva chiamata Afrodite Era. In un santuario degli Spartani essa era venerata sotto due aspetti e due appellativi: amata, come Afrodite Enoplia, incatenata, come Afrodite Morfo, colei che ha una forma o che cambia forma: probabilmente un altro nome per quella Eurinome, madre delle Cariti che, come si sentirà tra poco, era pure bimorfa e incatenata. A Sparta Afrodite si chiamava anche Ambologera, colei che ritarda la vecchiaia. In Atene essa aveva i suoi giardini come Aphrodite en kepois ed era venerata anche come Urania e come la Moira più antica. Al Capo Coliade, sulla costa attica, si chiamava anche Genetillide come la Venus Genetrix dei Latini, una dea tutelare delle nascite. Conduceva un gruppo di tre dee e riceveva, come Ecate, anche sacrifici di cani. In una bella pittura vascolare la vediamo a cavallo di un'oca, mentre sotto il nome di Epitragia cavalcava anche un caprone. I poeti la chiamavano Cipria o Ciprigna da Cipro, la sua isola prediletta.
Un altro aspetto, al quale apparteneva in certo qual modo già il caprone, era espresso in epiteti come Melena o Melenide, la nera e Skotia, l'oscura. Se questi nomi alludono al buio, di cui l'amore ama circondarsi, questo aspetto della dea si ricollega con quanto precedentemente descritto. Ma l'Afrodite nera può stare altrettanto bene a lato delle Erinni,
tra le cluali essa viene pure contata. Epiteti come Andropbonos, l'assassina, Anosia, l'empia, Tyimborychos, la seppellitrice, accennano alle sue possibilità oscure e pericolose. Come Epitymbia essa appare addirittura come colei che sta sulle tombe. Quale Persephaessa viene invocata come regina degli Inferi. Le spetta anche. il titolo Basilis, la regina. L'epiteto Pasiphaessa che splende dovunque, la collega anche con la dea della Luna. Da tutto ciò si deduce che una volta vi erano dei racconti che identificavano la dea dell'amore con la dea della morte, comparabile alla Venus Ubitina dei Romani.
La forma maschile del nome di Afrodite, Afrodito, fa supporre che ci siano stati altri racconti. Ad Amatunte, nell'isola di Cipro, la dea era venerata sotto tale nome ed era raffigurata con il volto barbuto.
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